Chi ha paura dell’Alzheimer?
La Malattia di Alzheimer è una sindrome cronico-degenerativa che porta ad una progressiva perdita delle facoltà cognitive, in primis la memoria e a seguire altre abilità come l’attenzione, il ragionamento, il linguaggio … fino ad un impoverimento globale. L’evolvere della malattia porta inevitabilmente con sé una sempre maggiore compromissione dell’autonomia funzionale, visibile inizialmente solo nell’ambito delle abilità più complesse, come la gestione delle finanze o della terapia farmacologica, ma via via riduce l’autonomia del malato anche per quanto concerne le mansioni quotidiane più elementari come il controllo degli sfinteri o la capacità di vestirsi da solo.
Al deficit cognitivo si associano spesso anche alterazioni del comportamento, come depressione, apatia o aggressività. Spesso sono proprio questi aspetti che rendono la gestione del malato più ostica, più ancora della costante smemoratezza. La Malattia di Alzheimer rappresenta un problema sociale, poiché la gestione del malato ricade sui familiari e prima o poi è verosimile che si renda necessario anche l’aiuto di personale esperto se non addirittura il ricovero presso strutture apposite.
La progressione è piuttosto lenta e la durata di malattia si aggira attorno agli 8-10 anni.
Sempre più spesso si sente parlare di Alzheimer e la demenza sembra essere diventata la malattia del secolo. In realtà è sempre esistita, ma essendo l’età il fattore di rischio principale ed essendo in costante aumento l’aspettativa media di vita (ricordiamo che l’Italia è il Paese più longevo d’Europa), la sua incidenza risulta maggiore. Si stima infatti che circa il 20% della popolazione ultra-ottantacinquenne ne sia affetta.
Sebbene gli studi effettuati siano numerosi – ed uno di quelli in atto è proprio ad opera di un gruppo di scienziati italiani dell’Università di Sheffield – ad oggi purtroppo non vi sono cure, ma solo approcci farmacologici e comportamentali atti a gestire la malattia, rallentandone il decorso e controllandone i sintomi.
La domanda che più frequentemente viene posta da un familiare di un malato di demenza e che corrisponde al suo terrore più grande, è “ma è ereditaria?”. Le forme ereditarie sono molto rare; si parla però di predisposizione genetica (ovvero un familiare di una persona affetta da demenza ha maggiore probabilità di svilupparla) intendendo con questa che i fattori genetici sono importanti ma non sufficienti alla sviluppo della malattia, per cui è indispensabile anche l’intervento di altri fattori (“fattori ambientali”). Tra i fattori ambientali principali vi è da sottolineare lo stile di vita, prestando attenzione alla dieta, all’attività fisica e mentale. Non è inoltre da sottovalutare l’interferenza di patologie concomitanti.
Proprio a fronte di queste premesse si rende evidente quanto una diagnosi precoce sia fondamentale per iniziare a “correggere” stili di vita poco salutari o monitorare situazioni cliniche “a rischio”.